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Non è colpa mia, è colpa tua. Anzi no, è colpa sua, così non ci sentiamo in colpa noi.Seguo. a cura di Emiliano NencioniLa colpa è un concetto talmente vasto e radicato nella natura umana che fior di filosofi e sociologi, nella storia, hanno speso fin troppe parole e sciorinato concetti fin troppo criptici per tentare di dare una spiegazione, un volto, un insieme di norme e codici per questa “cosa”. Perché alla fine cos’è? Un sentimento, una condizione, un ente giuridico, un’unità di misura un po’ come il Tempo? Riflessione impenetrabile per un profano dei sofismi.Non sono un esperto del settore, ma pare che un gran numero di testi a fondamento di vari religioni mondiali si basi sulla certezza dell’efficacia della colpa come leva sulle coscienze. Vi dirò di più, sono quasi sicuro di aver visto qualche volta anche dei dispettosissimi cani domestici sentirsi addosso la colpa di una salsiccia rubata o di un divano sfondato, e loro non hanno neanche tutte le nostre sovrastrutture. Cosa è questa cosa intra-specie, a cosa dobbiamo il suo successo evoluzionistico? Perché non è diventata obsoleta e dimenticabile come la coda nell’uomo?E soprattutto, tanto per cambiare: cosa c’entra la colpa e tutta l’esistente impalcatura di psicologia, filosofia e letteratura a tale riguardo con le dinamiche di una community di esperti grigliatori di bracioline su fiamma? Ve lo spiego io: ma ve lo spiego più avanti in queste paginette, visto che ho la necessità di prenderla molto alla larga e di fare tutto un avventuroso volo semantico (ma anche un po’ pindàrico, toh). Seguitemi con attenzione, prendete appunti, e se non capite non alzate la mano, che tanto ve la rispiegherei con le stesse identiche parole. Iniziamo la parte complicata, servendoci di Karl Jaspers.Nel 1945, con la seconda guerra mondiale ormai finita, il professor Jaspers si trovava in una situazione che è sacrilego definire solo ansiogena: iniziare l’anno accademico davanti a una classe di studenti universitari. Studenti cresciuti e formatisi sotto il nazismo, in attesa di una lezione di un docente al quale il nazismo aveva tolto la cattedra in quanto sposato con una donna di origine ebraica.Jaspers aveva trascorso gli anni del conflitto nel costante terrore della deportazione, avendo rifiutato di divorziare e ripudiare la moglie; sommariamente nascostosi nella città universitaria di Heidelberg, una pasticca di cianuro era l’espediente che lo avrebbe salvato da ulteriori orrori in caso che qualcuno lo avesse tradito o denunciato al regime.La sua lezione parlerà di colpa, in particolare della responsabilità politica della Germania: un modo notevole di rompere il ghiaccio con la classe.L’intuizione chiave di Jaspers è di spaccare la parola colpa in quattro diverse ramificazioni, quattro significati-contenitore per meglio racchiudere un’idea troppo vasta per un termine solo.Colpa criminale: è sempre individuale, ed è un fatto giuridico: si è colpevoli solo se un tribunale sancisce e verifica l’esistenza di una colpa in base a un giudizio fondato su prove e fatti. In questo contesto, e per questa ramificazione della colpa, un criminale di guerra è colpevole solo se si trovano prove sufficienti a confermare i suoi crimini; viceversa l’imputato sarà innocente, proprio perché si è innocenti fino a prova contraria, mentre è la colpevolezza a dover essere verificata.Colpa morale: a giudicarci è la nostra coscienza individuale, o delle persone più care e intime. Rimane completamente separata dalla colpa giuridica (o almeno si spera lo sia), proprio perché la giustizia "pubblica" non deve entrare nell’intimità della nostra coscienza. Qualora questo avvenisse, sarebbe inquisizione: è successo, e abbiamo visto che non è gradevolissimo. Si può essere colpevoli davanti alla propria coscienza anche se scagionati dall’assenza di prove, tuttavia.Colpa politica: la responsabilità condivisa tra chi detiene il potere (politico, certamente, ma che può essere scalato anche nel piccolo di un consiglio d’amministrazione, nel direttivo dei soci di un’associazione culturale, nell’elezione del rappresentante di classe) e chi lo ha legittimato conferendogli l’incarico. Parliamo di chi si lamenta del governo che ha votato l’anno prima, o di quelle megaditte che assumono l’Amministratore Delegato più squalo del mondo per poi accorgersi, ma guarda un po’, che essere amministrati da uno squalo è una piaga, e lo squalo ha l’unico scopo di incassare un sostanzioso buono uscita e di venire ricordato come l’Amministratore Delegato più squalo mai esistito, autoalimentando la sua stessa fama di Nastro di Moebius vivente.Karl JaspersChi decide della colpa politica? Tragicamente, l’idea politica vigente. Quindi, sì, i vincitori giudicano i vinti: inutile nascondersi dietro un’aura di illuminati, è proprio così.Colpa metafisica: è collettiva, ed è la più vicina all’idea di senso di colpa. É la colpa di non aver fatto, o non aver fatto abbastanza, ed è legata al senso di solidarietà innato di una comunità. Una espressione ontologica della condizione umana, quindi. Riporto pari pari una considerazione dello stesso Jaspers: «Nella mia situazione sono responsabile di ciò che accade per non essere intervenuto, e se non faccio ciò che posso fare, mi rendo colpevole delle conseguenze che derivano dalla mia astensione. Pertanto, sia l’azione sia la non-azione implicano delle conseguenze, per cui in ogni caso io sono inevitabilmente colpevole. In questa situazione-limite divento consapevolmente responsabile di ciò che accade, senza che io l’abbia propriamente voluto. Se chi agisce è consapevole di queste conseguenze, diventa insicuro perché nel compiere l’azione, egli pensava ad altre conseguenze. Nella situazione-limite egli si sente responsabile della sua azione. Responsabilità significa esser disposti ad assumere le colpe. In questo modo l’esistenza, manifestandosi, si trova immediatamente sotto una pressione ineliminabile»Credo non ci sia molto da aggiungere.La colpa è fondamentale, l’attribuzione di colpa è potere. Sulle colpe altrui si creano alleanze, e di riflesso antipatie, vendette, delatori professionisti.Succede ad ogni livello, e vi ricorderete del capoclasse fetente chiamato alla lavagna per segnare i cattivi, abbindolabile con un gesto d’intesa e uno scambio di favori. Più si sale di livello più diventa necessaria una gestione organica e ragionata di questo tipo di dinamiche.So che non ci crederete mai e che la prenderete come l’ennesima boutade di quel simpaticone impenitente e incorreggibile che scrive le cose strane in fondo alla rivista della ciccia buona, ma esiste tutto un mercato di mobile app per permettere ad organizzazioni e grandi aziende di poter distribuire in maniera quantificabile e matematicamente comparabile la colpa.Dietro pagamento di un congruo abbonamento ogni processo è suddiviso in maniera iper granulare a varie persone, a vari giorni, a varie decisioni chiave; tutto è sotto gli occhi di tutti, e il tag è il nuovo indice accusatore, o la gomitata nel fianco all’esaminatore temporaneamente distratto.“ «Una trasgressione involontaria ma imputabile si chiama colpa, una trasgressione volontaria si chiama delitto»”(Immanuel Kant)Siamo circondati dalla colpa, quindi: in famiglia, sul lavoro, e in ogni mezzo commento storto messo sui social network. Poi nella presunta intimità di un gruppo sconosciuto la spariamo grossa, qualcuno nella risposta ci tagga, e l’incauto commento finisce in cima al feed di parenti, familiari, colleghi, et voilà, bella figura.C’è una maniera di difendersi? Forse sì, con un po’ di filosofia spicciola e un po’ di dialettica da copiaincollatore selvaggio. Vi lascio qua una preziosa traccia per costruirvi una risposta tranchant nel tentativo di scrollarvi la colpa di dosso.Chiamiamo in causa Heidegger, che è sempre utile quando c’è urgenza di abbindolare qualcuno: la colpa è condizione ineliminabile dell’esistenza umana, visto che se l’uomo può avere una colpa allora la possibilità di esser colpevole appartiene alla sua essenza. É colpa mia? Certo, e anche tua: chi non ha colpa? Meglio però se invece che mia o tua è sua, cioè di un altro tizio.“ «Questo esser-colpevole costituisce la condizione ontologica della possibilità dell’Esserci di poter, esistendo, divenire colpevole. Questo esser-colpevole essenziale è coorigi- nariamente la condizione esistenziale della possibilità del bene e del malemorale, cioè della moralità in generale e della possibilità delle sue modificazioni particolari. L’esser-colpevole originario non può esser determinato in base alla moralità, perché questa lo presuppone come tale» ”(per Heidegger “esser-ci” è “essere al mondo”)Imparate a memoria questa breve e cristallina citazione del pomposo tedesco, riversatela su chi vi incolpa, dopodichè taggate un altro. Taggate senza pietà.Vi pervaderà la colpa morale (vedi poco sopra) di aver incasinato un terzo ignaro attore, ma pazienza, la colpa morale è quella che più si può far stare zitta, basta essere un po’ fetenti. Che ci vuole?• Eh ma questa cosa andava fatta diversamente, ora è un macello, è tutta colpa tua.• Si sbaglia, caro lei: la colpa si radica nell’infondatezza dell’esistenza. Per esser-colpevole l’Esserci non ha bisogno di accollarsi una “colpa” mediante azioni o omissioni, esso non deve che essere autenticamente quel “colpevole” che, essendo, esso è. Ma soprattutto è colpa di quel tizio lì (e qui si tagga un tizio a caso e anche sua cognata, così, per malvagità gratuita).Così è colpa sua.Abbiate solo l’accortezza di non riversare tutto contro qualcuno di particolarmente nefasto e solito ad orchestrare delle vendette complicatissime e cervellotiche, che poi è una seccatura.Va bene, ma adesso facci il doveroso parallelismo e dicci cosa c’entra tutto questo con i grigliatori di ciccia, come ci avevi promesso all’inizio, che son due pagine che leggiamo inutilmente di professori tedeschi con i baffoni e lo sguardo arcigno, e ancora non…No, niente parallelismo. Era tutto un inganno per portarvi alla lettura di nove-diecimila caratteri di flusso di coscienza. Che vi devo dire, succede, sono espedienti narrativi, non ve la prendete troppo.Vi ho deluso? Sono i rischi che si corrono fidandosi del narratore. É colpa mia? Secondo me non è colpa mia, è colpa tua.Anzi no, indovina. È colpa sua.Emiliano Nencioni