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La pizza napoletanaL'Arte Bianca a cura di Alessandro TrezziInutile girarci intorno, alla parola “pizza”, il vostro cervello focalizza immediatamente un’immagine ben precisa: un disco tondo, sottile al centro, con un bordo più o meno pronunciato, ricoperto di pomodoro e mozzarella filante.Che vi piaccia o meno è irrilevante, è indubbio che la pizza napoletana sia a tutti gli effetti una delle tipologie più celebri nel pianeta.Si tratta, al tempo stesso, di una delle aree più confusionarie del settore, nella quale aleggiano leggende metropolitane, luoghi comuni, negligenza e deduzioni scientifiche provvisorie, fatte da chi non ha nemmeno la competenza per proferir parola.Il problema principale nasce dal fatto che, nonostante sia una varietà ben precise e con delle caratteristiche ben distinte, spesso la si accomuna ad una generica pizza tonda. Peggio ancora, si inganna l’appassionato facendogli credere che si possa realizzare con un normalissimo forno a incasso domestico, probabilmente con l’intento di aumentarne la popolarità. Che dite, facciamo un po’ di ordine una volta per tutte?Storia e definizionePartiamo dalle basi, raccontando come è nata e quali caratteristiche ha oggi; parliamo di una tipologia che rappresenta il vero orgoglio dei pizzaioli partenopei, la cui arte è stata inserita ufficialmente il 7 Dicembre 2017 nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità.Le sue origini si perdono nella notte dei tempi; la prima comparsa può esser fatta risalire a un periodo storico che si colloca tra il 1715 ed il 1725: Vincenzo Corrado, cuoco del principe Emanuele di Francavilla, in un trattato sui cibi più comunemente presenti a Napoli dichiarò che il pomodoro veniva impiegato per condire la pizza ei maccheroni.Del resto, se in Oriente sono grandi mangiatori di riso, noi italiani siamo pastaioli nati; questa bacca proveniente dalle Americhe ed esportata nel 1540 da Hernan Cortés, iniziò ad essere probabilmente utilizzata nella classica pasta aglio&olio popolare.Ma da quando possiamo iniziare a parlare di “pizza”? Vi sono notizie di fine Cinquecento ed inizio Seicento di un disco di pasta soffice, condito con basilico, strutto, formaggio e pepe nero (la “mastunicola”, l’antenata di tutte le pizze), mentre più avanti si diffuse la “cecinielli”, preparata con rimasugli di pesce.Di pane basso però il mondo è pieno: dalla pita al naan, dalla tortilla all’alkhbuz marocchino. Senza pochi dubbi, la genesi dell’indipendenza della “pizza” dagli altri panificati ebbe luogo grazie all’associazione con il pomodoro, che tanto spopolava nella cultura popolare.Nel Settecento iniziarono a comparire i primi concetti di “pizzeria”; erano luoghi spartani, fuori dall’uscio di casa, dove i fornai servivano le pizze cotte nei forni a legna e tenute al caldo da delle stufe di rame. Venivano condite con della salsa di pomodoro, ripiegata a libretto e servita in un cartoccio per essere consumata per strada. Nei secoli, tale tipologia si è evoluta fino ad arrivare al concetto moderno del termine, perfettamente descritto dal paragrafo reperibile nel disciplinare dell’Associazione Verace Pizza Napoletana: la pizza napoletana è un prodotto da forno lievitato, steso a disco sottile e cotto a temperature che vanno, tra quelle della platea e della volta per quanto riguarda il forno a legna, dai 380°C ai 485°C, per un tempo che oscilla tra i 60 ei 90 secondi. Il risultato è una pasta molto elastica nella stesura, morbida una volta cotta, al punto da essere ripiegata su sé stessa a portafoglio o libretto. L’effetto croccante è assente o appena percettibile, il bordo rialzato (il famoso cornicione), la parte centrale sottile e coperta dai condimenti, con la maculatura tipica di una cottura rapida e aggressiva.Se ne deduce un’importantissima questione: la vera pizza napoletana deve avere delle caratteristiche ben precise, dalle quali non si transige:• morbidezza;• sezione sottile;• cornicione più o meno pronunciato, comunque visibile;• cottura blanda degli ingredienti di farcitura.Precisare questi quattro concetti è importantissimo per un grosso fraintendimento che circonda questo prodotto: una pizza napoletana è una pizza tonda, ma una pizza tonda non è necessariamente una pizza napoletana.Senza i presupposti appena citati (una stesura corretta ed una cottura violenta, soprattutto) non sarà mai possibile ottenere la morbidezza e la particolare cottura degli ingredienti posizionati sul disco, che in 90 secondi hanno appena il tempo di scaldarsi, conservando la maggior parte delle proprietà organolettiche originarie senza mutare gusto e profumo.E attenzione, non si tratta di nazismo ma di semplice constatazione: se stendete un panetto a sezione sottile, ricavando un cornicione, ma lo cuocete nel vostro forno di casa a 250°C, sarete “costretti” a tenere il prodotto nella camera per 5-7 minuti, ricavando una struttura croccante e ingredienti ben più cotti. Sarà ugualmente buona, ma non potrà essere definita “pizza napoletana”, bensì “pizza tonda”.Appare quindi evidente quello che per anni è stato il primo grosso limite nel replicare in casa questa tipologia di pizza: la temperatura di esercizio.Fissiamo quindi questo paletto una volta per tutte: la pizza napoletana nel forno di casa non si può fare.Quali sono quindi gli strumenti che consentono di sfornare questo prodotto tanto amato?Il forno più adattoLa tradizione vorrebbe l’utilizzo del forno a legna, l’unico che fino a qualche decennio fa era in grado di raggiungere le proibitive temperature e la trasmissione di calore necessaria per realizzare una perfetta verace pizza napoletana, grazie alla spinta esercitata dal piano refrattario e ad una volta in grado di generare un irraggiamento sufficiente alla cottura rapida richiesta. È ancora così?Assolutamente no: oggi le stesse condizioni sono replicabili perfettamente in uno dei tanti modelli di forni a gas o elettrici presenti sul mercato, il cui irraggiamento, conduzione e convezione di calore siano progettati a dovere, risultando per altro decisamente più comodi e immediati da utilizzare.Per carità, dimenticatevi la bufala del magico sapore che caratterizzerebbe la pizza; se siete qui è perché siete appassionati di barbecue, quindi saprete bene che 90 secondi non sono neanche lontanamente sufficienti a permettere al semilavorato di catturare gli odori del fumo. E anzi, se così fosse meglio allarmarsi, in quanto potrebbe essere sintomo di legna umida, sporca e non stagionata, responsabile quindi della generazione di fumo nocivo e non certo a norma HACCP.Inoltre, per quanto romantico possa essere il caro, vecchio forno a legna, la sua gestione merita qualche attenzione in più per mantenere la fiamma sempre alta e la temperatura costante, e senza una mano esperta il vostro prodotto potrebbe non essere così facile da replicare.Detto questo, ammetto che una volta preso il ritmo lavorare con dei forni simili è maledettamente divertente, ma ciò non significa che sia impossibile realizzare pizze superbe con modelli elettrici oa gas.Anzi, la costanza che otterrete, soprattutto alle prime armi, sarà incredibilmente superiore, in quanto non dovrete continuamente prestare attenzione alla fonte di calore per evitare perdite di rendimento.Facciamo quindi un piccolo riassunto delle tipologie principali presenti sul mercato, riferite ovviamente ad un pubblico di appassionati:•I modelli elettrici hanno dimensioni abbastanza contenute e sono utilizzabili all’interno; a seconda del prodotto, raggiungono dai 450°C ai 550°C in meno di un’ora, consumano poco più di un classico forno a incasso e grazie alle resistenze ben disegnate spesso è necessario girare la pizza una sola volta;•I modelli a cupola a gas (metano o GPL) sono utilizzabili solo all’esterno, ne esistono delle dimensioni più disparate (in genere per una fino a quattro o cinque pizze) e raggiungono i 450°C-500°C in circa un’ora. Sono molto comodi e divertentissimi da usare, in quanto il feeling è quello di un vero pizzaiolo; di contro, la sorgente di calore è localizzata a lato del forno, quindi dovrete necessariamente girare ogni tanto la pizza per cuocerla uniformemente;•I modelli a cupola a legna sono anch’essi utilizzabili all’esterno, di dimensioni simili a quelli a gas, e raggiungono la temperatura nello stesso tempo. Richiedono ovviamente un po’ di dimestichezza nell’accensione, ed in genere consiglio di munirsi di tronchetti di faggio pressato, che permettono di avere un’uniformità maggiore di calore e un risparmio di spazio nella camera di cottura. Per avere rendimenti sempre costanti inoltre, ad ogni infornata è bene aggiungere un pezzetto di legna per mantenere sempre alta la fiamma, evitando il rischio di far crollare la temperatura biscottando la pizza.La farinaLa napoletana nasce come un prodotto realizzato con basse idratazioni, farine medio-deboli (220-240 W), pochissimo lievito e un quantitativo importante di sale utile per stabilizzare lievitazioni corte condotte prettamente a temperatura ambiente; un tempo infatti non esistevano le odierne celle frigorifere, tantomeno le camere a temperatura controllata, e le uniche farine disponibili erano i grani italiani tipicamente tenaci e poveri di glutine.Oggi le cose sono decisamente cambiate; abbiamo a disposizione farine di qualsiasi tipologia, adatte ad ogni scopo. Ma soprattutto i laboratori delle pizzerie e le nostre case sono dotate di frigoriferi e, nella maggior parte dei casi, di macchine per impastare; perché non sfruttare il progresso tecnologico quando ci torna utile per stabilizzare le variabili? Perché dovremmo per forza lasciarci convincere dai professionisti che parlano di “punto di pasta” o “l’impasto a occhio”, quando pesando tutto e lavorando per consapevolezza azzeriamo il rischio di commettere errori inutili?Il metodo e la ricetta proposti oggi si riferiscono quindi all’uso del frigorifero, alzando sia il W che l’idratazione, mantenendo costante il lievito e riducendo il sale; il tutto per elaborare un prodotto “moderno”, una pizza leggera, tecnica ma semplice, calibrata, standardizzabile e digeribile; mangiare, nel XXI secolo, non può e non deve significare semplicemente riempirsi la pancia, ma vivere un’esperienza sensoriale e gratificante.La tipologia principalmente utilizzata per la produzione di napoletana è una 00 o 0 di grano tenero, in quanto l’impasto deve risultare fortemente estensibile, deve poter essere tirato a mano fino ad ottenere una sezione di pochi millimetri senza rompersi, e deve svilupparsi in concomitanza del cornicione; al contempo deve anche risultare scioglievole al morso e mai tenace in bocca, quindi l’utilizzo di farine troppo forti o di idratazioni molto elevate è altamente sconsigliato, perché potrebbero rivelarsi difficoltose sia nella stesura sia nella cottura.Crusca e fibre presenti nelle farine integrali e semi-integrali, nonostante il profilo nutrizionale ei sapori più marcati, trattengono l’umidità e ostacolano in parte la formazione del glutine. Realizzare una napoletana con farine “alternative” non è impossibile né tantomeno vietato, ma potrebbe risultare più complesso specie in presenza di una materia prima non particolarmente performante.Il mio consiglio è quello di iniziare con delle materie prime più semplici, come quelle indicate, per poi volendo sperimentare una volta che avrete preso la mano.I tempi di riposoComplice la minore idratazione (che consente di ottenere un ottimo risultato anche a mano), la realizzazione dell’impasto della napoletana è decisamente semplificata.Ciò che fa davvero la differenza nel risultato finale è l’equilibrio delle diverse fasi di maturazione e lievitazione, che devono essere bilanciate in relazione alle caratteristiche del prodotto finito; un panetto perfetto e pronto alla stesura dovrà essere facilmente estensibile senza arrivare a rottura, ma soprattutto dovrà avere una distribuzione di gas equilibrata, per poterli spingere verso il bordo con estrema semplicità, senza i classici bolloni bruciati che rovinano la vista ed il gusto.Per questo motivo solitamente l’appretto sarà lungo ed effettuato a temperature che non superino i 20°C-22°C, in modo da far lavorare i lieviti lentamente e in maniera meno violenta.In sintesi, l’importante è che le fasi di riposo vengano svolte con tempi e temperature corrette, e dovrete necessariamente condurre qualche sessione di test nei vostri ambienti di lavoro prima di trovare la quadra.La panificazione richiede pazienza, costanza, passione e dedizione; non cercate di raggiungere la perfezione al primo colpo, ma divertitevi a trovare il miglior compromesso possibile.Lievito e saleLo scopo del sale non è solo quello di conferire sapidità, ma di migliorare sensibilmente le caratteristiche della maglia glutinica, oltre a stabilizzare la lievitazione durante i tempi lunghi di appretto richiesti; per questo motivo il quantitativo è leggermente superiore a quello di una teglia romana.La funzione dei lieviti è invece quella di nutrirsi degli zuccheri dell’impasto, producendo l’anidride carbonica che fa gonfiare il semilavorato. Tradizionalmente, la pizza napoletana viene realizzata mediante l’uso di lievito di birra (Saccharomyces Cerevisiae) fresco, acquistabile solitamente in cubetti da 25gr.Per facilitare il riposo duraturo ed agevolare quindi le corrette caratteristiche tecniche richieste, il suo quantitativo è molto basso, circa 2 grammi ogni chilo di farina. Vi sconsiglio pertanto di utilizzare il secco, in quanto non solo è più pigro nel cominciare a lavorare, ma dovendolo dividere per tre vi ritrovereste ad impazzire con i quantitativi corretti.Gli ingredienti della farcituraLa leggenda narra che nel giugno 1889 il cuoco Raffaele Esposito la preparò in onore della regina Margherita di Savoia in visita a Napoli. Esistono tuttavia testimonianze storiche già nel secolo precedente, sempre nella città partenopea.In ogni caso, la dolcezza dei pomodori pelati schiacciati a mano, la cremosità della mozzarella fiordilatte, la freschezza balsamica del basilico e il gusto intenso e avvolgente dell’olio extravergine di oliva hanno contribuito a rendere la pizza margherita celebre nel mondo.Esistono metodi ben precisi per utilizzare al meglio i due ingredienti principali della farcitura. Anzitutto il pomodoro migliore è quello pelato, succoso, privo di bucce ma al tempo stesso abbastanza liquido da poter essere spalmato agilmente con l’aiuto di un cucchiaio. Impiegherete pochi secondi a schiacciarlo con le mani, e vi sconsiglio l’utilizzo del mixer per evitare di ossigenarlo, cambiarne il colore e renderlo eccessivamente liquido. Inoltre, evitate di utilizzarlo freddo da frigo, perché potrebbe lasciare cruda la parte di pasta a contatto.Per quanto riguarda i latticini, un forno adatto vi eviterà la maggior parte dei problemi di acqua; con la pizza napoletana potete scegliere la mozzarella che più vi aggrada, senza troppe fisime. La cosa importante è tuttavia la temperatura di servizio: essendo un formaggio a pasta filata, sotto gli 8°C trattiene il siero, rilasciandolo una volta scaldato. Per questo motivo, lasciate il fiordilatte (tagliato a listarelle di circa 1 cm) ad almeno 14°C-16°C e la bufala (tagliata a fette) tra i 18°C ei 22°C; così facendo, perderanno i liquidi nella bacinella ma non sulla pizza.INGREDIENTI per 6 pizze da 32cmPer l’impasto:1 kg di farina di grano tenero di tipo 00 o 0 (300 W);650 g di acqua; 28 g di sale fino;2g di lievito di birra fresco.Per la farcitura: 600 g di pomodoro pelato;600 g di fiordilatte di Agerola o di un ottimo latticino;qualche foglia di basilico fresco;olio extravergine di oliva.IMPASTAMENTO La fase di impastamento può essere eseguita sia a mano che per mezzo di una planetaria o di un’impastatrice a spirale; in ogni caso l’ordine di inserimento degli ingredienti non cambia.Sciogliete il lievito nell’acqua e versatene il 2/3 nella farina man mano, attendendo che la precedente venga assorbita prima di aggiungerne altra. Verso la fine mettete il sale, per poi continuare fino ad aver esaurito l’acqua prevista.Terminato l’impastamento, trasferite sul piano e chiudete in pagnotta, ripiegandolo su sé stesso fino ad ottenere una forma liscia, uniforme, asciutta e ad una temperatura di almeno 24°C-25°C.Riponete quindi il tutto in un recipiente unto di olio a temperatura ambiente (22°C-24°C) per circa 4 ore, in modo che parta la lievitazione; tale prerequisito è di fondamentale importanza soprattutto per gli impasti diretti casalinghi in quanto, considerando le moli decisamente inferiori al contesto professionale, posizionare il tutto in frigorifero troppo presto potrebbe bloccare l’impasto, impedendo ai pochi lieviti utilizzati di svolgere la loro preziosa funzione.PUNTATA Trascorse le 4 ore, riponete il contenitore in frigorifero a 6 °C per 18-24 ore, indicativamente 6 ore prima del momento in cui volete stenderle. In questa fase l’impasto matura, cresce verso l’alto e la maglia glutinica si stabilizza.STAGLIO Trascorsa la puntata, riprendete l’impasto e porzionatelo nei pesi desiderati, in questo caso 6 panetti da 275 grammi. Il contenitore migliore per l’appretto è la classica cassetta in plastica con coperchio, ormai reperibile facilmente ovunque; posizionateli all’interno a distanza ravvicinata in modo che si sorreggano da soli dandosi forza.APPRETTO Durante lo staglio l’impasto viene manipolato, i lieviti ridistribuiti e la maglia glutinica rafforzata. Lo scopo dell’appretto è quello di rendere possibile l’ultima lievitazione e maturazione, oltre a permettere l’estensibilità necessaria alla stesura; come già detto inoltre, è fondamentale che avvenga in maniera lenta in modo da consentire ai gas di distribuirsi uniformemente, evitando la creazione di fastidiosi bolloni. Lasciateli a dormire per 6-8 ore a una temperatura di 20°C-22°C (o in frigorifero per altre 24 ore) e attendete la magia.STESURA Rendere un soffice e morbido panetto sottile come un foglio di carta non è semplicissimo e richiede parecchia pratica. La prerogativa però è che l’impasto arrivi al punto giusto, ben lievitato ma soprattutto estensibile e asciutto, in modo che non si attacchi mentre lo allargate. Immergetelo in un cumulo di semola rimacinata di grano duro ben setacciata (che riduce l’attrito con il piano da lavoro, oltre a tostare in cottura donando sapore) e schiacciate con le dita dal centro verso il bordo per spostare l’aria, lasciando circa 1-1.5 cm in modo da formare il cosiddetto “cornicione”.Proseguite in questo modo, capovolgendo il panetto e continuando a portare l’aria verso il bordo fino ad aver quasi ottenuto la dimensione finale, diciamo per circa i 3/4 del totale; questo perché con l’umidità degli ingredienti aggiunti in fase di farcitura si allargherà ulteriormente, facilitandovi il lavoro.Spolverate leggermente il piano con giusto un velo di semola (quel tanto che basta per non farla attaccare), sbattete un po’ il disco tra le mani per togliere l’eccesso e preparatevi al condimento.FARCITURA Una buona mise en place è un’ottima pratica per quanto riguarda la realizzazione della napoletana; tenete presente infatti che più il disco di pasta rimane sul banco più aumenta il rischio che si attacchi o si rompa, rovinandovi tutto il lavoro svolto. Avere tutti gli ingredienti pronti davanti a voi potrebbe salvarvi la vita.Schiacciate a mano i pelati; io li tengo al naturale, ma a vostro gusto potete aggiungere un pizzico di sale, dell’olio e del basilico per insaporirli. Tagliate il fiordilatte a listarelle o la mozzarella a fette; in via opzionale, potete anche prepararvi una manciata di parmigiano e/o pecorino da aggiungere prima della cottura, che donerà un tocco di umami al vostro capolavoro.Con un mestolo largo posate circa 100 g di pomodoro al centro, per poi distribuirlo a spirale verso l’esterno del disco lasciando in pace il cornicione, che dovrà gonfiarsi e fungere anche da corona per gli ingredienti. Mettete il basilico (che sotto la mozzarella eviterà di bruciarsi), 80-100 g di fiordilatte, il formaggio grattugiato se previsto e infine un giro d’olio.COTTURA Trasportate con le dita la pizza sulla pala leggermente infarinata, ridategli una forma tonda avendo cura di coprire tutta la superficie, e infornatela nel vostro potente mezzo.Nel caso abbiate un forno elettrico performante, impostate la temperatura a 480°C con il 100% di potenza dal cielo e il 5-10% di potenza dalla platea; con un forno a legna oa gas, attendete che il termometro arrivi a 450°C-480°C.In entrambi i contesti verificate con un termometro laser che la platea sia almeno intorno ai 420-430 °C. In caso contrario la pizza sarà cotta sopra ma non sotto; ricordatevi che la difficoltà maggiore nella gestione di una napoletana sta nel mantenere un equilibrio tra le due componenti di cottura, conduzione (tramite il piano refrattario) e irraggiamento (tramite la camera, la fiamma o le resistenze).Con un movimento deciso infornate la pizza e controllatela a vista.In un forno a legna oa gas, considerando che la sorgente di calore diretto è puntuale e localizzata sul fianco, dovrete girarla spesso per ottenere una cottura uniforme, ma attendete circa 30 secondi altrimenti rischiate di bucare la base con il palino. Nel forno elettrico al contrario, se le resistenze sono ben disegnate limitate la rotazione ad una sola di 180 gradi; con temperature così alte e tempi di cottura così brevi infatti, il risparmio di quei pochi secondi di perdita di calore possono fare la differenza. Controllate costantemente la base della pizza, e se risulta troppo avanti rispetto alla parte superiore mantenete alzata la pizza con il palino fino a cottura ultimata.Quando il prodotto ha raggiunto una colorazione uniforme, dopo circa 90 secondi, sfornatelo, e terminate la farcitura con un ultimo giro di olio extravergine di oliva sul bordo, ancora una spolverata di formaggio e del basilico.Grazie alla rapidissima cottura, la freschezza degli ingredienti rimane pressoché invariata, permettendovi di gustare una margherita aromatica, profumata ed invitante, dove nemmeno l’olio ha raggiunto il suo punto di fumo e sprigiona quindi tutto il suo potenziale organolettico.Sfornate, impiattate e godetevi questo capolavoro di artigianalità.